
La Geolocalizzazione ai tempi del Coronavirus
Secondo la dichiarazione ufficiale del Comitato Europeo per la protezione dei dati (Edpb) del 16.03.2020, sono tre le condizioni richieste perché la geolocalizzazione a prevenzione del contagio Covid-19 sia possibile:
- Deve avere una base giuridica normativa
- Deve rispettare i principi di proporzionalità
- Deve essere garantito il diritto di difesa in via giudiziale
La verifica dell’effettivo rispetto dell’isolamento domiciliare da parte dei singoli individui attraverso il tracciamento dei dispositivi elettronici, in effetti, è stata attuata in Paesi come Taiwan, Cina e Israele.
L’utilità di questo metodo di verifica sta nella possibilità di tracciare il percorso degli “esaminati”, individuando la catena del contagio e accertando chi è entrato in contatto con loro.
Questo processo incontra però un limite nella compatibilità con il diritto alla protezione dei dati personali.
La delicata questione viene affrontata ed esaminata nell’articolo dell’avvocato Antonio Ciccia Messina consultabile su federprivacy.it:
Come affermato dal presidente Jelinek, la materia della geolocalizzazione merita un doppio approccio. In relazione al primo profili (Gdpr), la dichiarazione dell’Edpb ricorda che il regolamento Ue 2016/679 ha, al suo interno, gli strumenti normativi per affrontare le emergenze, compresa quella del Covid-19. In dettaglio l’articolo 9, paragrafo 2, lettera i), detta una specifica base giuridica per perseguire motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, quali la protezione da gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero, sulla base del diritto dell'Unione o degli Stati membri, purché siano previste misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti e le libertà dell'interessato, in particolare il segreto professionale.Analoghe disposizioni sulla base giuridica avallano i trattamenti necessari e proporzionati anche per i dati diversi da quelli particolari, con riferimento alle finalità di assicurazione di interessi vitali e di osservare obblighi di legge.
Peraltro, in materia di geolocalizzazione, settore che appartiene alla macro-materia delle comunicazioni elettroniche, al quadro normativo del Gdpr bisogna aggiungere regole ulteriori, e cioè quelle derivanti dalla “ePrivacy Directive”.
La direttiva impone una gradualità dei trattamenti, partendo dalla regola della priorità di uso di informazioni anonime, quali ad esempio dati aggregati con la eliminazione della possibile reversibilità ai dati nominativi. Questo comporta a un sostanziale lasciapassare per report generali sulla concentrazione di dispositivi in una certa area.Realisticamente, tuttavia, l’Edpb si rende conto che il dato anonimo e il dato aggregato possono non essere sufficienti o non utili a scopi specifici. E, a tale proposito, il presidente Jelinek fa appello all’articolo 15 della direttiva e-privacy, il quale apre la strada a legislazioni nazionali finalizzate a introdurre misure nell’interesse della sicurezza nazionale e della salute pubblica.
Una legislazione d’emergenza è possibile, certamente, alla condizione che non mini i principi costitutivi dello stato democratico. Su questo fondamento si basa il richiamo al rispetto dei principi di necessità e proporzionalità, nonché alle adeguate garanzie, tra cui quella principale alla tutela giurisdizionale contro gli abusi.
Il senso dell’intervento è chiaro.
La disciplina della privacy non è di per sé un ostacolo al raggiungimento di obiettivi sostanziali. La disciplina della privacy, però, disegna il perimetro delle scelte che sono compatibili con i valori democratici. Questo perimetro ammette anche deviazioni eccezionali, che però non stravolgono il quadro complessivo, che devono essere suffragate oltre che dalla eccezionalità del momento anche dalla capacità del legislatore di bilanciare i diversi interessi.Quello che non va certo bene, invece, è un’assenza di coordinamento, che lasci i singoli operatori (titolari di trattamento pubblici e privati) nell’incertezza delle decisioni da assumere e dei doveri da assolvere.