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Privacy in azienda con il Covid-19. Il sondaggio Federprivacy

La tutela della privacy e il rispetto della protezione dei dati personali negli ambienti di lavoro rappresentano un elemento di criticità che richiede grande attenzione in particolar modo durante l'emergenza sanitaria da Covid-19.
La cosiddetta “Fase 2”, infatti, ha reso obbligatorie per i dipendenti aziendali attività di prevenzione e contenimento della diffusione del Coronavirus, come ad esempio la rilevazione della temperatura corporea all’ingresso dell’azienda e la richiesta di autocertificazioni su informazioni riguardanti lo stato di salute.

In questo contesto una figura chiave che è stata introdotta dal Gdpr è quella del Data Protection Officer.
A questo punto sorgono spontanee alcune domande in merito:

  • Quanto peso hanno veramente i Data Protection Officer in questo periodo?
  • Quali sono i trattamenti di dati personali che a loro avviso destano maggiori preoccupazioni?
  • Le imprese come hanno fronteggiato la situazione per conciliare la sicurezza con il rispetto della privacy?
  • Da parte loro, come hanno reagito dipendenti e collaboratori di fronte a situazioni inconsuete in cui hanno visto una significativa riduzione della loro riservatezza?
  • Passata l’emergenza, sarà verosimile vedere un graduale ritorno alla normalità nell’applicazione di un diritto fondamentale come è quello alla protezione dei dati personali degli individui?

Uno studio di Federprivacy si pone l’obiettivo di rispondere a queste domande, aggregando in modalità anonima le risposte a 7 domande mirate poste agli addetti ai lavori attraverso un questionario online – che terminerà il 18 maggio –, al quale hanno già partecipato quasi mille Dpo e privacy manager.
Di seguito i primi risultati:

Il 68% dei Data Protection Officer che sono stati intervistati hanno risposto di non essere stati subito coinvolti dalla direzione all'inizio dell'emergenza da Covid-19, e nel 39% dei casi è stato lo stesso Dpo a prendere l’iniziativa interessandosi personalmente dei problemi legati alla tutela della privacy, mentre tre volte su dieci (29%) è stato il management a renderlo partecipe dei problemi in un secondo momento.


Inoltre, il 63% dei Data Protection Officer che sono stati interpellati dal management, non sono stati solo in silenzio ad ascoltare, ma hanno fatto sentire anche la loro voce, infatti uno su quattro afferma che le sue opinioni hanno avuto molto peso sulle decisioni riguardanti le misure da adottare e agli interventi necessari per conformarsi alla normativa, e circa il 39% di essi ha dichiarato di essere stato ascoltato quanto serviva.

Il Dpo non ha avuto peso solo nella pura consulenza ai vertici aziendali, ma anche nella revisione ed il controllo della documentazione per verificare l’eventuale necessità di aggiornare moduli e informative (85% dei casi), nel dare istruzioni e formazione agli autorizzati al trattamento di dati (65%), mentre ha rilevato poco (28%) o niente (29%) nella gestione delle istanze da parte di lavoratori ed altri interessati, e ancor meno ha influito nella gestione dei rapporti con il Garante per la privacy, rimanendone del tutto fuori nel 61% dei casi
.”

Vuoi partecipare anche tu al questionario? Clicca QUI.

 

FONTE: Federprivacy